Il prossimo decennio

In un mondo nuovo è probabile che le economie siano meno integrate. Crediamo che il contributo del commercio al PIL mondiale abbia già raggiunto il punto massimo, dato che la riduzione degli scambi viene accelerata dalla serie di sanzioni, dazi e controlli alle esportazioni reciproci introdotti da Stati Uniti, Europa e Cina. Inoltre, le tensioni tra Stati Uniti e Cina rischiano di spaccare il mondo in due blocchi finanziari, commerciali e tecnologici incompatibili.

Ma le ricadute della deglobalizzazione sull’economia mondiale nel prossimo decennio dipenderanno soprattutto dalle cause di questo fenomeno.

Se la deglobalizzazione dovesse prodursi principalmente per ragioni politiche (come un inasprimento delle restrizioni o delle sov-venzioni al commercio), probabilmente farebbe diminuire l’offerta complessiva di beni, ridurrebbe il potenziale di crescita o provo-cherebbe picchi d’inflazione.

Ma se si verificasse soprattutto per motivi economici (a seguito di una maggiore automazione, della produzione manifatturiera inte-grata, dell’aumento dei salari nei mercati emergenti che fa salire i costi o della volontà di costruire filiere più resilienti), probabil-mente le conseguenze sarebbero diverse. Questo scenario si tradurrebbe infatti in un aumento dell’offerta, un calo dei rischi d’inflazione e un più alto potenziale di crescita.

La demografia rappresenta sempre più un potenziale ostacolo nel nostro mondo nuovo. La popolazione è in calo ormai nella metà dei Paesi che compongono l’economia mondiale in termini di PIL ufficiale, come Giappone, Cina e diversi Paesi europei. Il rapporto tra pensionati e persone in età lavorativa è salito in tutto il mondo e solo nell’ultimo decennio è passato dall’11,8 al 14,8%, con un aumento più marcato nei Paesi ad alto reddito, dal 23,2 al 29,1%.

Questi trend finiranno per pesare sull’offerta. La crescita dell’economia dipende dall’incremento della forza lavoro, degli investi-menti in conto capitale e della produttività; pertanto, a parità di condizioni la minore espansione della forza lavoro ridurrà il poten-ziale di crescita economica. Un maggiore numero di pensionati rispetto ai lavoratori comporterà probabilmente un aumento del de-bito. Nelle economie maggiormente orientate ai servizi, in cui il potenziale di crescita della produttività è più ridotto, i tassi di dipen-denza degli anziani potrebbero contribuire a un aumento dell’inflazione.

Per scongiurare gli effetti negativi dell’invecchiamento della popolazione sull’offerta, l’economia mondiale potrebbe dipendere in larga misura dagli sviluppi nell’ambito della terza «d»: la digitalizzazione.

L’ascesa dell’intelligenza artificiale potrebbe segnare l’inizio di un’era di maggiore produttività, che solo negli Stati Uniti potrebbe registrare un aumento progressivo dello 0,3–2% l’anno.

Se il potenziale dell’intelligenza artificiale verrà realizzato appieno potrà contribuire a mitigare le sfide demografiche, dando soste-gno alla crescita e alla disinflazione in alcuni segmenti di beni e servizi nonostante il calo della popolazione attiva. Inoltre, gli inve-stimenti iniziali nell’intelligenza artificiale e nei settori collegati, come i semiconduttori, potrebbero favorire la domanda a breve ter-mine.

Tuttavia, l’impatto dell’intelligenza artificiale potrebbe essere di portata inferiore se questa tecnologia sostenesse l’offerta soprattutto nei settori meno colpiti dalle sfide demografiche (ad es. chatbot per servizi professionali) più che in quelli soggetti a maggiori pres-sioni (ad es. robot fisici utilizzati nella sanità).

In ogni caso, per gli investitori l’avvento dell’intelligenza artificiale dovrebbe dare impulso alla crescita degli utili e alle opportunità in aziende che abilitano, offrono o sfruttano le relative tecnologie.

La spinta verso l’energia pulita e l’azzeramento delle emissioni di carbonio è stata rafforzata dai timori per la sicurezza energetica e gli eventi meteorologici estremi. Negli anni a venire ci aspettiamo che i capitali pubblici e privati continuino a promuovere la transi-zione energetica.

A breve-medio termine la transizione energetica potrebbe ridurre l’offerta, perché gli ostacoli allo stoccaggio di energia e alla con-nettività di rete rendono meno affidabili le energie rinnovabili, mentre aumentano i costi e i rischi operativi legati ai combustibili fos-sili. Al tempo stesso, gli investimenti nel settore potrebbero mantenere alta la domanda globale.

A più lungo termine, la spinta verso la decarbonizzazione dovrebbe dare un contributo netto positivo all’offerta globale. L’abilitazione di un’offerta di energia più abbondante a costi inferiori dovrebbe contribuire ad aumentare il potenziale di crescita, abbattere l’inflazione e rafforzare le filiere produttive. Per gli investitori, i titoli che ne beneficeranno di più dovrebbero essere i for-nitori di soluzioni e i primi adottanti.

Il futuro della quinta «d», il debito, potrebbe dipendere dagli scenari di crescita, inflazione e tassi d’interesse tracciati dalle altre quattro. L’indebitamento totale su scala mondiale è aumentato in percentuale al PIL dalla crisi finanziaria globale nel 2008, a fronte della debole domanda. Per fortuna, l’offerta abbondante e i bassi tassi d’interesse hanno mantenuto il rapporto tra pagamenti di interessi ed entrate pubbliche vicino ai minimi storici.

In prospettiva, le sfide demografiche e il fabbisogno di investimenti legati alla decarbonizzazione, alla digitalizzazione e alla deglo-balizzazione dovrebbero spingere al rialzo il rapporto debito/PIL. Se nei prossimi anni i tassi e i rendimenti non scenderanno come ci aspettiamo, l’aumento dei pagamenti di interessi potrebbe iniziare a creare problemi ai governi nella seconda metà di questo decennio.

Il debito dovrà rimanere accessibile, non da ultimo perché molti elettori preferiscono disporre di bassi costi di finanziamento. Il mo-do migliore per raggiungere questo obiettivo è attraverso una crescita economica robusta, che potrebbe prodursi in presenza di un’ampia diffusione dell’intelligenza artificiale, un’elevata disponibilità di energia verde e filiere produttive localizzate. Se queste condizioni non dovessero verificarsi, potrebbe rendersi necessaria una combinazione di repressione finanziaria, imposte, inflazione inaspettata o default. La risposta potrebbe venire non tanto dai mercati e dall’economia quanto dalla politica ed è probabile che Paesi diversi prenderanno strade diverse.

La liquidità offre rendimenti elevati, ma ci aspettiamo un calo dei tassi d’interesse l’anno prossimo. Inoltre, crediamo che a lungo termine la liquidità sia destinata a sottoperformare le altre asset class principali come azioni e obbligazioni, soprattutto negli scenari in cui le banche centrali fanno ricorso alla repressione finanziaria per gestire il crescente onere del debito. Raccomandiamo di de-tenere in una strategia Liquidità una quota non superiore a quella necessaria per fare fronte alle spese previste a 2-5 anni.

I rendimenti elevati promettono bene per i ritorni sui titoli di Stato a lungo termine e ci aspettiamo buone performance anche nell’immediato, a fronte del calo dell’inflazione e della crescita dagli attuali livelli. Ma, pur aspettandoci un calo dei rendimenti, pre-vediamo comunque che si mantengano al di sopra dei livelli pre-pandemia, poiché il maggiore fabbisogno di investimenti collegati ai temi deglobalizzazione, digitalizzazione e decarbonizzazione contribuirà all’aumento dell’offerta di obbligazioni e al rialzo delle stime per il tasso neutrale reale. Dovrebbe quindi crearsi un contesto di ritorni totali stabili e appetibili per i titoli di Stato.

Gli spread di credito sono relativamente ristretti su base storica. Ci aspettiamo un ampliamento a breve termine, a fronte del rallen-tamento della crescita, ma crediamo ancora che l’esposizione creditizia svolga un ruolo importante nel contesto di un portafoglio diversificato a lungo termine grazie al suo contributo in termini di carry e diversificazione. I rischi di rifinanziamento, la decelerazio-ne economica e la minore certezza circa gli interventi delle banche centrali potrebbero far salire la volatilità obbligazionaria nei prossimi anni e bisogna quindi avere un approccio attivo nei confronti dell’asset class.

Le azioni dovrebbero registrare i ritorni più elevati tra le principali asset class nel prossimo decennio. L’incremento degli utili su base aggregata sarà sostenuto dalla robusta crescita delle società all’avanguardia delle tendenze dirompenti nei settori tecnologia, ener-gia e sanità. È tuttavia probabile che le valutazioni azionarie scendano rispetto all’ultimo decennio a causa dei tassi d’interesse più alti rispetto all’era pre-pandemia. La diversificazione globale sarà importante per affrontare un mondo in via di deglobalizzazione. Ad esempio, le azioni dei mercati emergenti trattano a forte sconto rispetto alla media storica e ci aspettiamo che registrino i tassi di rendimento più alti nel prossimo decennio.

Secondo le nostre stime, destinare una quota del 20% di un portafoglio bilanciato agli strumenti alternativi può incrementare i ren-dimenti attesi di circa 50 pb l’anno a lungo termine, a fronte di una volatilità equivalente. Il contesto di tassi più alti e ritorni interes-santi per gli asset tradizionali dovrebbe favorire gli hedge fund, che a nostro avviso rimarranno un valido elemento di diversifica-zione dei portafogli nei prossimi anni. In questo momento anche i private markets ci sembrano offrire opportunità interessanti: i mercati secondari trattano con uno sconto di ben il 16% sul valore patrimoniale netto (NAV), mentre i nuovi prestiti privati rendono il 12,5%. È importante non dimenticare i rischi aggiuntivi associati agli strumenti alternativi, tra cui l’illiquidità, l’utilizzo della leva e la minore trasparenza rispetto ai mercati quotati.

Ci aspettiamo un deprezzamento del dollaro a più lungo termine a causa delle sue elevate valutazioni e dei timori legati al finan-ziamento del deficit degli Stati Uniti. Tuttavia, i tassi d’interesse statunitensi fanno da contrappeso; pertanto, le nostre previsioni di rendimento per la maggior parte delle asset class sono simili con o senza copertura. Ci attendiamo anche un recupero dello yen nei prossimi anni, dato che è notevolmente sottovalutato.

Ci aspettiamo che i prezzi rimangano elevati nel prossimo decennio a fronte dell’aumento della spesa per il clima, le catene di fornitura e la difesa. Dato il carattere ciclico dell’intera asset class, preferiamo investire in materie prime attuando approcci attivi o puntando su settori azionari o Paesi e valute con un’elevata esposizione alle commodity.